mercoledì 25 gennaio 2012

PABLO ARMANDO FERNANDEZ

                                                                                                                                   foto Riccardo Rossi 

IMPARANDO A MORIRE
 
Mentre mia moglie e i miei figli dormono
e la casa riposa dal via vai familiare,
mi alzo e rianimo gli spazi tranquilli.
Faccio come se loro - i miei figli, mia moglie -
fossero svegli, presi
dalle attività che riempiono i loro giorni.
Vago insonne (o sonnambulo) chiamandoli, parlando loro;
ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Raggiungo la più piccola delle mie bambine:
parla alle sue bambole, non bada alla mia voce.
Il maschio entra, lascia la cartella da scolaro,
dalle tasche toglie il suo bottino:
i trucchi di un prestigiatore.
Vorrei condividere la sua arte e il suo tesoro,
vorrei essere con lui. Va oltre:
non bada al mio gesto né alla mia voce.
A chi mi rivolgo? Le mie altre figlie, dove sono?
Giro per la casa giocando a farmi trovare:
sono qua!
Ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Mie figlie nel loro mondo seguono un altro tempo
Dove sarà finita mia moglie?
La sento in cucina, l'acqua scorre,
odora di foglie di coriandolo e di alloro.
È di spalle. Guardo i suoi capelli,
il suo collo giovane: lei vivrà...
Voglio avvicinarmi ma non oso
-- odora di spezie, di dolce appena sfornato --:
e se volgendo lo sguardo, non mi vedesse?
Come un attore dimentica d'improvviso
la sua parte nella scena,
disperato grido:
sono qua!
Ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Finché arriva il giorno e con la sua luce
finisce il mio esercizio di imparare a morire.

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